Trump e le paure delle élite: il decoro di David Leavitt 

Con ottobre siamo entrati nel clou della campagna per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America.

Biden vs Trump. Democratici e Repubblicani. I media si stanno concentrando molto su quello che sta accadendo negli USA: non solo per via dei confronti televisivi fra candidati presidenti (il primo, avvenuto una settimana fa ha fatto molto discutere) o vicepresidenti (molto atteso, in realtà ha deluso molto le aspettative), ma soprattutto per la positività al Covid-19 di Donald Trump, il suo ricovero in ospedale, il suo ritorno spavaldo alla Casa Bianca.

Uscito in anteprima mondiale in Italia per SEM libri nell’estate 2020, Il decoro di David Leavitt è ambientato negli Stati Uniti e in parte a Venezia. Negli USA uscirà con il titolo Shelter in place.

Siamo nel 2016, Donald Trump ha da poco vinto le elezioni: diventerà il 45º presidente degli Stati Uniti d’America.

Alcuni amici newyorkesi appartenenti all’alta borghesia intellettuale si ritrovano per riprendersi da quella che considerano la più grande catastrofe politica della loro vita: l’elezione di Trump, appunto.

Saggi e libri di denuncia sociale (o su movimenti legati all’identità) indagano e fanno emergere sicuramente in modo più netto e crudo le contraddizioni americane, le politiche discriminatorie di Trump. Ho scelto il decoro per l’approccio diverso, ma sempre originale, al tema.

«Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?»domandò Eva Lindquist.Erano le quattro di un pomeriggio di novembre, il primo sabato dopo le elezioni presidenziali del 2016, Eva era seduta nella veranda della casa di campagna in Connecticut insieme al marito Bruce e ai loro ospiti.

- il decoro

«Ovviamente non è la prima catastrofe politica che attraversiamo» disse Rachel «Potrebbe addirittura non essere la peggiore che abbiamo vissuto».«Ti sbagli» replicò Eva «Non c'è stato niente di peggio durante la nostra vita»

— il decoro

La trama

La sovraccoperta ci fornisce un’ottimo riassunto del libro, per cui ve la riporto direttamente (sì, sono dell’idea che quando le cose sono già dette bene, non abbia molto senso girarci intorno con sinonimi).

Qualche giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, in una lussuosa villa del Connecticut, alcuni amici newyorkesi dell’alta borghesia intellettuale si ritrovano per riprendersi da quella che considerano la più grande catastrofe politica della loro vita. Si rifugiano in campagna nella speranza di ristabilire la “bolla” in cui sono abituati a vivere. Eva Lindquist, la padrona di casa, propone una sfida. Chi di loro sarebbe disposto a chiedere a Siri come assassinare Trump? Nessuno, a eccezione di un cinico editore, raccoglie la provocazione. Gli amici progressisti di Eva e del marito Bruce con la loro pavida reazione introducono uno dei temi portanti del romanzo: la paura di fronte a un nuovo clima politico. Delusa dal suo paese, dove non si sente più “a casa” e al sicuro, Eva decide di partire per Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù. Lì, quasi per caso, visita un affascinante appartamento e decide di acquistarlo. Il soggiorno in quella città la aiuta a cercare un nuovo modo di immaginare il mondo. Intorno a quello di Eva si intrecciano i destini degli altri personaggi, che prendono forma attraverso dialoghi incalzanti e ironici, nei quali si configurano possibili soluzioni a esistenze segnate dall’inquietudine. Ecco allora i tradimenti, le fughe e la menzogna a coprire tutto.

«È per le elezioni» disse poi. «Così avrà un posto dove scappare nel caso questo paese diventi fascista.»«Oh, ma quella è solo una parte della storia» disse Min. «Quella più importante, però... be’, è l’avventura, voglio dire, pensateci. Un’americana va a Venezia, vede un vecchio appartamento, decide sui due piedi di comprarlo e ristrutturarlo.» «La ristrutturazione come storia d’amore» disse Jake. «Be’, sì, certo» disse Indira. «Ciò che mi interessa, però, è quello che hai detto prima, l’idea che questo paese, dove sono accorsi tantissimi dei nostri nonni in cerca di libertà, sia diventato un posto da cui la gente sente di dover scappare. O almeno di doversi tener pronta a scappare da un momento all’altro.»

— il decoro

my two cent

Pagina dopo pagina, leggendo il decoro ho avuto l’impressione che si prestasse perfettamente per diventare una commedia teatrale. I dialoghi, i personaggi, il ritmo si prestano perfettamente a uno spettacolo di teatro. I luoghi – pochi – sono semplicemente accennati, è la mente che li costruisce, li arreda, li colora. I personaggi, i loro intrecci, le bugie, le loro convinzioni messe in discussione dalla vittoria di Trump, il loro essere persone privilegiate, spettatrici di vite che vorrebbero vivere da protagonisti.

Ironia, analisi della società e dell’attualità, paure e incertezze della nostra contemporaneità.
Forse – causa lockdown – sono un po’ in crisi d’astinenza da teatro? Qualcun altro ha avuto questa mia stessa impressione?

All’interno del libro, più volte si parla di Venezia, prendendola un po’ come parte per raccontare e far emergere alcuni stereotipi legati all’Italia. Venezia nel libro viene tirata in ballo come buen ritiro, un luogo esotico, abbastanza lontano da Trump.

David Leavitt conosce molto bene l’Italia perché qui ha vissuto per anni. Nel libro, mi ha colpito la presenza di alcuni stereotipi, che, ammetto, pensavo fossero in larga parte superati: gli italiani come perenni truffatori, la corruzione.

Nel 2017, in un’intervista a Repubblica, David Leavitt rispondeva così:

Crede esistano ancora stereotipi sugli italiani?
“L’immaginazione pubblica degli americani conserva alcune immagini-cliché, diffuse dal cinema e dalle arti visive: una ragazza che calpesta l’uva, un ragazzo che beve vino da un fiasco, i vari “mangiatori di spaghetti” napoletani. Mafiosi e italoamericani che sembrano usciti da un film, La dolce vita “.

Lei invece cosa predilige?
“Una delle ragioni per cui amo La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è che ribalta gli stereotipi. Ed è la stessa ragione che mi fa apprezzare la scrittura comica di Cappellani, registi come i Taviani, Pietro Germi, e un film come Una giornata particolare di Ettore Scola”.

Qualche giorno fa, sul Domani, Igiaba Scego ha ritirato fuori – in un articolo dal titolo “Come gli italiani hanno imparato a far finta di essere bianchi” – un personaggio di Friends che avevo rimosso: Paolo, trattato come oggetto sessuale, pigro, non sa la lingua e ha qualcosa di mellifluo che fa sì che venga respinto dal gruppo di amici.

Da sempre – già dai racconti del Grand Tour – questi stereotipi accompagnano gli italiani.

Speriamo finiscano, come la presidenza Trump.

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Il consiglio non richiesto

da leggere con ironia (e un bicchiere di vino) in un weekend d’autunno.

Per approfondire i “temi americani” dall’Italia il suggerimento è il podcast di Francesco Costa (ma anche il libro uscito a gennaio 2020) e la McMusa (anche lei ha un podcast)