Racconti di Palestina

Qualche settimana fa, con linasprimento del conflitto israelo-palestinese, abbiamo percepito la necessità di parlare di questo anche sui nostri canali, approfondendo dal punto di vista letterario.

Abbiamo scelto di coinvolgere una persona sicuramente più esperta di noi sullargomento: Federica Stagni, dottoranda in scienze politiche e sociologia presso la Scuola Normale Superiore, che si occupa di mobilitazioni non-violente nei territori palestinesi da una prospettiva di movimenti sociali. 

Il focus di questa lista è la letteratura palestinese contemporanea che parte dal racconto della Nakba del 1948, per poi concentrarsi sulla condizione di espatriato, la costante violazione dei diritti umani, la crudeltà della guerra. 

Abbiamo deciso di dare questo taglio perché il conflitto è impari anche per quanto riguarda la rappresentanza nel panorama letterario, almeno quello in traduzione italiana. Se gli autori israeliani sono noti e pubblicati da grandi case editrici (Grossman, Oz Yehoshua) o da case editrici specializzate (Giuntina per esempio), lo stesso non si può dire per gli autori palestinesi che, a parte un paio di casi, faticano a trovare la propria collocazione e la giusta attenzione.

Prima di scoprire insieme la lista di libri che Federica Stagni ha selezionato per noi, segnaliamo alcuni articoli per approfondire il tema:

FEDERICA STAGNI

dottoranda in scienze politiche e sociologia presso la Scuola Normale Superiore che si occupa di mobilitazioni non-violente nei territori palestinesi da una prospettiva di movimenti sociali

Ecco la lista

Ho visto Ramallah di  Murid Al-Barghuthi | traduzione di M. Ruocco  | Editore Ilisso 2005

In questo memoir Murid Al-Barghuthi racconta della sua giovinezza a Ramallah e dell’improvviso ma perpetuo esilio durato per oltre trent’anni, dopo i quali potrà tornare nella sua terra natia per una sola settimana. La sua storia è la storia di tanti palestinesi che come lui vissero l’esperienza traumatica dell’esilio, ma ai quali non fu mai concesso di tornare. Attraverso il libro ripercorre la condizione dell’esule, la vita della ghurba (diaspora), la condizione di chi vive altrove e non si sente mai a casa. Con “Ho visto Ramallah”, Murid al Barghuthi narra la storia del proprio esilio e quello di tutti i palestinesi e lo fa mescolando generi letterari molto diversi passando con naturalezza dalla poesia alla prosa. Per quanto questo possa risultare ostico per alcuni lettori non avvezzi al mondo della poesia, è anche la cifra stilistica dell’autore, che prima di essere scrittore è sicuramente poeta. Attraverso la poeticità di questo racconto vengono esplicitati i sentimenti complessi dell’esule e del rinnegato che sarebbero altresì difficili da esprimere in prosa. 

In un mondo senza cielo: Antologia della poesia palestinese di Francesca Maria Corrao

Questa raccolta di poesie approfondisce l’aspetto metrico e lessicale della poesia palestinese, ne chiarifica la simbologia e le figure retoriche, ne analizza l’evoluzione storica tra le varie epoche. Accurato l’approfondimento sulla forma grafica e pronuncia araba. Il libro è risultato di un progetto di sostegno alla poesia palestinese e di promozione della sua conoscenza in Italia condotto dall’associazione culturale fiorentina Laboratorio Nuova Buonarroti.  I componimenti proposti sono davvero validi e sono accompagnati, in fronte, dal testo in lingua originale.

Una trilogia palestinese di Mahmud Darwish

La prima raccolta dei tre testi in prosa del poeta Mahmud Darwish. In “Diario di ordinaria tristezza” (1973) il famosissimo autore (definito da Saramago il poeta migliore del mondo) ripercorre il tempo che precede l’esilio, gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere, e chiude la fase più drasticamente militante del poeta. “Memoria per l’oblio” (1987) rievoca l’invasione israeliana di Beirut nell’agosto del 1982. “In presenza d’assenza” (2006) è una riflessione sull’esperienza poetica e sulla lingua araba. Una sorta di testamento, che coincide con l’addio dello struggente poema “Il giocatore d’azzardo” (2009), che chiude questo volume. Il volume contiene numerosi riferimenti autobiografici e anche in questo caso poesia e prosa si alternano vicendevolmente. La storia del suo paese si mescola con quella personale dell’autore risultando un po’ complessa per un lettore che si avvicina per la prima volta a scritti palestinesi. Il libro resta un capolavoro della letteratura araba commovente e coinvolgente. 

Ritorno ad Haifa-Umm Saad. Due storie palestinesi di Ghassan Kanafani | a cura di Isabella Camera D’Afflitto | 2014

Capolavoro di Ghassan Kanafani, “Ritorno a Haifa” viene riproposto in una nuova veste insieme con “Umm Saad”, romanzo breve, poco noto ma non meno rappresentativo dell’opera del grande scrittore palestinese. “Ritorno a Haifa” ci parla, per la prima volta, di due diaspore: quella palestinese e quella ebraica, accomunate da un unico destino. Said torna con la moglie nella sua città per rivedere la vecchia casa, ora abitata da una famiglia di ebrei polacchi scampati ad Auschwitz. Sono trascorsi vent’anni dalla nascita dello Stato d’Israele, dalla Nakba palestinese e dall’esilio. Lo scrittore ci accompagna in un viaggio che scava nella memoria, dove riaffiorano la violenza e la tristezza di una duplice tragedia resa con grande umanità e forza emotiva. Nel secondo romanzo l’autore rievoca “Umm Saad”, la madre di Saad, che diventa figura mitica e simbolo stesso della questione palestinese. 

Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani  | a cura di Isabella Camera D’Afflitto |  2016

“Uomini sotto il sole” è forse una delle più belle e tristi storie sulla diaspora palestinese. I tre protagonisti cercano di fuggire dai campi profughi della Cisgiordania, allestiti all’indomani della fuga dalla Palestina storica pre-1948, per arrivare in Kuwait, meta, allora, di tanti esuli palestinesi. La prosa di Kanafani non è immediata ma una volta dentro è impossibile interromperne la lettura. Kanafani è un palestinese che ha passato gran parte della sua vita in esilio e che fu assassinato dal Mossad a causa delle sue idee politiche e dei suoi scritti. Considerato uno degli scrittori arabi più influenti dello scorso secolo, capace di raccontare storie di vita di palestinesi che come lui hanno perso non solo la loro terra ma la loro memoria storica. 

Terra di fichi d’India di Sahar Khalifa

Una delle più note scrittrici palestinesi che nel 1996 vinse il premio Alberto Moravia per la letteratura straniera, ci racconta la vita dei palestinesi nei territori occupati, dove vicende umane s’intrecciano alla storia di quei luoghi.  Dopo molti anni di lontananza i cugini Adel e Usama si incontrano. Usama fa ritorno da un lungo viaggio e si ritrova subito ad affrontare la realtà dei check-point israeliani dove ispezioni, interrogatori, maltrattamenti, sono all’ordine del giorno. Usama torna per difendere il suo paese e per partecipare alla lotta di liberazione nazionale, Adel, invece, rimasto in Palestina vive una situazione completamente diversa al limite della de-umanizzazione da parte delle forza occupanti. I due si avvicineranno alla realtà israeliana, lavorando per la potenza occupante ma con approcci e obiettivi molto diversi. 

La svergognata. Diario di una donna palestinese di Sahar Khalifa | 2008

A differenza di altri romanzi della palestinese Khalifa, che trattano della questione palestinese da angolazioni storico-politiche più marcate, il romanzo del 1986 “La svergognata” è incentrato sul tormentato percorso privato di una donna. ‘Afaf è una donna borghese, prigioniera di convenzioni sociali scardinate dalla realtà dei tempi, ma non per questo meno oppressive. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di ribellione che il marito punisce con l’isolamento e il disprezzo, ‘Afaf, impaurita ma decisa a non cedere, intraprende un viaggio verso il suo Paese occupato dall’esercito israeliano, dove ritrova la madre e un’amica coinvolta nella lotta armata e decide di divorziare per iniziare un nuovo capitolo esistenziale della propria vita.

La porta del sole di Elias Khoury |  traduzione di Elisabetta Bartuli | 2014 

1995, campo profughi di Shatìla, Libano. All’ospedale Galilea viene portato, in coma, un anziano combattente che in gioventù aveva fatto da padre putativo al medico-infermiere che ora lo assiste, il dottor Khalìl. Rifiutandosi di lasciarlo morire, Khalìl decide di curarlo con la terapia della parola e si lancia in un lungo racconto che, coprendo un arco temporale di oltre cinquant’anni, ripercorre la vita dei due uomini ora chiusi nella stanza d’ospedale. Denunciando ogni forma di vittimismo, abbandonando ogni retorica volta a mitizzare eroismo e martirio e ammettendo le debolezze della sua gente senza per questo screditarla, Elias Khoury riesce nella difficile impresa di raccontare i palestinesi in quanto individui e non soltanto la loro causa. Dal romanzo nel 2004 il regista egiziano Yousri Nasrallah ha tratto il film che porta lo stesso titolo. 

Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa  | 2013 

Forse il romanzo più conosciuto sulla questione palestinese, e una delle scrittrici più note. Ogni mattina a Jenin è un vero capolavoro che racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di “esuli”. Attraverso la voce di Amal, la brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja, viviamo l’abbandono della casa dei suoi antenati di ‘Ain Hod, nel 1948, per il campo profughi di Jenin. Assistiamo alle drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato e diventato un soldato israeliano, il secondo che invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese. E, in parallelo, si snoda la storia di Amal: l’infanzia, gli amori, i lutti, il matrimonio, la maternità e, infine, il suo bisogno di condividere questa storia con la figlia, per preservare il suo più grande amore. La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, si snoda nell’arco di quasi sessant’anni, attraverso gli episodi che hanno segnato la nascita di uno Stato e la fine di un altro. In primo piano c’è la tragedia dell’esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L’autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, racconta la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all’amore.

Nel blu tra il cielo e il mare di Susan Abulhawa |  traduzione di Silvia Rota Sperti | 2016

Dalla Cisgiordania questa volta Susan Abulhawa ci porta nella Striscia di Gaza.  Il romanzo si apre con la voce narrante di Khaled, bambino di dieci anni la cui morte è vicina. Prima di entrare definitivamente nel blu, lo spazio-tempo degli spiriti, racconta la sua storia e quella delle donne della sua famiglia. Una storia che ha inizio settant’anni prima, a Beit Daras, sulla via che dalla Palestina conduce verso Il Cairo. Lì vivono Umm Mamduh con le figlie Nazmiyeh e Mariam e il figlio Mamduh. Umm Mamduh è tristemente nota per non avere un marito e temuta perché comunica con il mondo degli spiriti. Nel 1948, l’anno della Nakba, la catastrofe palestinese, la famiglia è costretta dai bombardamenti israeliani a lasciare il paesino. Per i sopravvissuti comincia la dura vita da profughi. Un altro capolavoro, non da meno di Ogni mattina a Jenin, anzi forse anche più bello. Splendide le figure della forte e simpatica matriarca, e della nipote Nur che trova e conosce per caso la sua famiglia d’origine dopo aver vissuto una triste vita in America. Questo libro descrive l’occupazione e il conflitto da un punto di vista prettamente femminile (come tutti i libri della Abulhawa). Toglie il fiato la descrizione della violenza fisica e psicologica che le donne subiscono in questo conflitto, così come in tantissimi altri.

Contro un mondo senza amore di Susan Abulhawa | traduzione di Giulia Gazzelloni 

Ultimo libro della Abulhawa ci racconta la storia di una donna palestinese della diaspora e una grande storia d’amore. Nahr è rinchiusa nel Cubo, una prigione israeliana di massima sicurezza: tre metri quadrati di cemento armato levigato, privata di ogni riferimento di tempo, con i suoi sistemi di alternanza luce e buio che nulla hanno a che vedere con il giorno e la notte. Per il mondo occidentale Nahr è una terrorista, ma per il suo popolo una martire, una donna che ha combattuto per la liberazione della Palestina. Il mondo lì fuori chiama Nahr una terrorista e una puttana; alcuni forse la chiamerebbero una rivoluzionaria o un esempio. Ma la verità è che Narh è sempre stata molte cose e ha avuto molti nomi. Cresciuta in Kuwait dopo l’esodo Palestinese, ritorna in Cisgiordania dopo la fine dell’occupazione irachena dove, senza andare a cercarseli, trova scopi, passione politica, amici. 

Il parigino di Isabella Hammad |  Einaudi 2021

Nel 1914 il diciannovenne Midhat Kamal lascia la Palestina per la Francia, carico di sogni, progetti e speranze per il futuro. È diretto a Montpellier, dove studierà Medicina. Qui s’innamora perdutamente di una giovane francese, e per la prima volta si scontra con il volto oscuro dell’orientalismo occidentale. Fuggito a Parigi, poi, vive il fermento della città, tra salotti intellettuali e donne bellissime. E quando torna in patria, a Nablus, per sempre e per tutti sarà il Parigino, elegante, sognatore e romantico. Soltanto molti anni dopo, Midhat scoprirà per caso la verità sul suo destino mancato.  «”Il Parigino” è un romanzo storico coinvolgente, una storia d’amore intensa e una saga familiare eccezionale. Ma, soprattutto, è un dono generoso. Esiste una gioia che non è puro piacere, ma anche lotta e malinconia. In questo libro si racconta di quella gioia, ed è la stessa che prova il lettore» – Jonathan Safran Foer.