Il re ombra - Maaza Mengiste

 Questo è il modo in cui è stato scritto, perciò questo è il modo in cui viene ricordato. Ma ciò che Hirut sa, mentre siede alla stazione ferroviaria tanti anni dopo, scivolando di lato per godere dell’ultima luce pomeridiana, è che quando quegli invasori carnivori attraversarono il fiume Gash per poi avanzare verso Axum, le tre colonne si separarono rompendo le linee, e gli etiopi s’infilarono in quei varchi e cominciarono a combattere. Perché ciò che i giornali e la memoria hanno mancato di dire è che non si portano centomila uomini in un paese a passo di danza. Non si mandano al loro seguito migliaia di muli e autocarri e manovali senza incidenti. Perché centomila uomini, per quanto famelici possano essere nei confronti di questa bella terra, non potranno mai eguagliare il numero di etiopi decisi a difendere la libertà del proprio paese, in barba alla matematica. 
Il re ombra di Maaza Mengiste (edito in Italia da Einaudi) è finalista al Book Prize 2020, vincitore del premio The Bridge 2019 per la narrativa.
Ci ha attratte fin da subito perché racchiude temi e sensibilità che stiamo cercando di approfondire, anche e soprattutto attraverso la lettura di libri e riviste.
Per anni la Storia è stata racconta dai vincitori, il punto di vista è quello occidentale, del conquistatore.
Per lo stesso motivo, le uniche voci presenti sono state quelle maschili. “Il re ombra” ci racconta l’invasione dell’Etiopia e la violenza perpetrata sotto l’ordine di Mussolini attraverso gli occhi di chi abitava quelle terre, scegliendo le donne come protagoniste, ribaltando anche lo stereotipo che le vuole a casa mentre l’uomo è a combattere.

In Etiopia le donne hanno sempre combattuto in guerra. Erano presenti ma non hanno parlato della loro esperienza quotidiana. Una donna poteva essere un soldato sul campo di battaglia, ma di ritorno al campo, gli uomini potevano fare di lei quello che volevano. Il suo stesso corpo poteva essere usato come un campo di battaglia. Le donne si vergognavano di parlare di quei momenti, perché hanno sacrificato tutto ed è umiliante per loro ammettere che sono state in grado di difendere il territorio, la terra, ma non il proprio corpo.

Maaza Mengiste, intervista su 7 del Corriere della Sera

L’AUTRICE

Nata a Addis Abeba e residente a New York, Maaza Mengiste è Fulbright Scholar e docente di scrittura al Queens College. Nel 2007 è stata nominata New Literary Idol dal «New York Magazine» e nel 2020 ha ricevuto un Award in Literature dall'American Academy of Arts and Letters. È l'autrice di Lo sguardo del leone (Neri Pozza, 2010). Per 10 anni ha condotto ricerche sulla guerra del '35 tra etiopi e regime fascista per costruire Il re ombra (Einaudi, 2021).

Dal nostro punto di vista è un libro bellissimo che richiede tempo e concentrazione. Almeno questa è stata la nostra esperienza di lettura.
Per semplificare: sedute al tavolo e non su divano/letto 🙂
Il libro è ricco di personaggi: oltre alle due protagoniste Hirut e Aster (tra l’altro di due classi sociali diverse, una serva e l’altra aristocratica) abbiamo le alture dove ci sono i soldati etiopi guidati da Kidane (marito di Aster) e il terrazzamento a strapiombo sulla valle dove sorge la base italiana guidata dal colonnello Carlo Fucelli, qui troviamo la sua narrazione, ma anche la storia di Fifi, affascinante donna etiope amata da molti ufficiali italiani e da Fucelli stesso e anche la voce del soldato Ettore Navarra, il fotografo dell’esercito, un ebreo. Ma ci sono anche i palazzi dell’imperatore Hailé Selassié, che poi fugge e si rifugia a Londra.
L’io narrante si sposta, segue i punti di vista. La narrazione principale è inframmezzata dal coro e dal racconto a parole di fotografie di guerra. La fotografia riveste un ruolo fondamentale per la propaganda fascista e per l’esibizione della forza, della potenza.
Le descrizioni dei non pochi momenti violenti (stupri, esecuzioni) sono corpose, vivide e dettagliate. Colpiscono crude chi legge.
La sensazione è quella di far parte di un’opera lirica, come  l’Aida tanto ascoltata dall’imperatore etiope.
Come già avevamo detto quando lo abbiamo inserito nelle novità della settimana, tra i meriti del libro – oltre a raccontare uno spaccato importantissimo della storia coloniale, molto spesso dimenticato –  c’è la scelta di non costruire una narrazione totalmente univoca. Come abbiamo visto i punti di vista sono molteplici, ma allo stesso tempo i personaggi non sono mai “buoni e cattivi”.
Ettore Navarra è, sì, un conquistatore, ma anche un uomo dilaniato da un personale conflitto e dal terrore di non rivedere mai più la sua famiglia; gli uomini etiopi non sono tutti degli ottimi mariti e difensori della patria. Kidane, per quanto sia il carismatico leader della rivolta, è un uomo violento, prevaricatore, e abusa a più riprese di Hirut, la cui rabbia dà forza all’intera storia e la sorregge.
LA TRAMA IN SINTESI
Il libro si apre nella stazione ferroviaria di Addis Abeba, l’anno è il 1974. Hirut, la protagonista, ritorna nei luoghi che per 40 anni aveva deciso di dimenticare. Da qui parte il flashback che ci porta all’occupazione dell’Etiopia da parte di Mussolini, nel 1935.
6 mesi dopo, l’imperatore Hailé Selassié, al comando del suo esercito, viene sconfitto a Mai Ceu e costretto all’esilio, sugli altopiani e nei villaggi dell’intero paese le donne e gli uomini etiopi organizzano una resistenza vittoriosa, combattendo battaglie il cui clamore rimanda agli epici scontri dell’Iliade.
Il titolo nasce da un escamotage inventato dagli etiopi:  quando l’imperatore Hailé Selassié fugge, per intimidire i fascisti e per dare coraggio e fiducia alla popolazione autoctona, l’esercito etiope decide di addestrare un sosia e trasformarlo in fantoccio contro i nemici. Hirut e Aster sono le guardie.
Le date presenti nel libro non sono ovviamente casuali:

1974

è l’anno della rivoluzione che rovescia l’imperatore Hailé Selassié e instaura una giunta militare guidata da Mengistu Haile Mariam. Il nuovo regime – come spiega la stessa Maaza Mengiste in un articolo uscito su Internazionale “La lunga guerra dell’Etiopia” – si faceva chiamare Derg e dava la caccia ai dissidenti considerati “nemici dello stato”.

1935

è l’anno in cui Mussolini dichiarò guerra all’Etiopia, rispolverando come giustificazione la bruciante sconfitta subita dall’Italia alla fine del secolo precedente, intollerabile per l’ideologia fascista. Le violenze sono inaudite, nonostante i richiami della Società delle Nazioni.

Il consiglio non richiesto

  • leggere gli articoli, le riflessioni e i libri di autrici come Igiaba Scego (l’anno scorso abbiamo letto “La linea del colore” che continuiamo a consigliare) o Gabriella Ghermandi
  • per vedere l’invasione dal punto di vista dell’Italia, il secondo volume di “M. L’uomo della Provvidenza” di Antonio Scurati affronta proprio quel periodo storico
  • l’incredibile storia dei partigiani africani che aiutarono gli italiani a liberarsi dal fascismo raccontata in un articolo su The Vision
  • su Internazionale e su 7 del Corriere della Sera sono stati pubblicati i due articoli citati da noi
  • la diretta di Internazionale con Maaza Mengiste  ( ad esempio: al minuto 36 sulla necessità di raccontare la storia africana, al minuto 42 si parla di come il libro è stato accolto in Italia, al minuto 52 si parla della presenza di donne italiane in Etiopia, al minuto 55 il tema della memoria in Etiopia)